L’autodeterminazione del paziente:
implicazioni medico-legali correlate alla podologia

Nel corso del tempo il rapporto fra professionista sanitario e paziente è andato profondamente modificandosi. Se in passato la relazione si è sempre configurata come monodirezionale, in quanto il paziente non aveva le conoscenze ed i mezzi giusti per la propria autodeterminazione, sia in campo clinico che terapeutico, oggigiorno, il dialogo tra queste due figure ha come obiettivo principale l’alleanza terapeutica. Questa situazione si configura come punto d’incontro per la ricerca del successo terapeutico e punto di scontro per la “disuguaglianza” tra i ruoli. L’atto medico, inteso come raggiungimento del benessere e salute del cittadino, ha un’importanza fondamentale anche a livello sociale. Infatti, l’ OMS, nonché l’art. 32 della Costituzione italiana, promuovono la SALUTE intesa come benessere fisico, psichico, sociale ed è proprio per tal motivo che l’attività clinica è lo strumento fondamentale per il raggiungimento di questo obiettivo. Tale scopo, è contemplato anche dall’Art.24 del Codice deontologico dell’Associazione Italiana Podologi che riconosce nell’attività podologica, un mezzo di tutela della salute nell’interesse della collettività. L’UEMS (Union Europènne des Medicins Specialist) nel 2006 ha definito l’ “atto medico” come “tutte le azioni professionali, vale a dire le nel nostro profilo professionale vengono ribaditi alcuni di questi punti in quanto il podologo tratta direttamente dopo un accurato esame obiettivo del piede, con metodi incruenti,idromassoterapici le patologie cutanee ed ungueali del piede nonché eventuali dimorfismi e piede doloroso; inoltre, il podologo utilizza metodi ortesici ai fini preventivi e curativi (ad es: utilizzo dell’ ortesi nel piede diabetico), assiste pazienti a rischio con l’obiettivo di trasmettere al cittadino l’educazione sanitaria, e segnala tutti i casi in cui sia richiesto un eventuale approfondimento diagnostico od intervento terapeutico (D.M. 14/09/1994 n. 666); inoltre, nell’art. 12 del nostro Codice Deontologico viene citata la “Competenza Professionale” e l’attività mediante due costanti: Scienza e Coscienza. A livello giuridico, il nostro ordinamento definisce ogni atto medico come “qualsiasi prestazione che il sanitario svolge in ambito preventivo, diagnostico, curativo, riabilitativo e medico - legale”. Questo enunciato è comprensivo di una molteplicità di situazioni e significati che possono configurarsi, poiché ogni prescrizione, visita, certificazione ed attività è regolata da norme peculiari e caratterizzanti, non certamente accomunabili in un’unica definizione. Il professionista attività scientifiche, didattiche, formative ed educative,cliniche, medico-tecniche compiute al comunità nel rispetto dei valori etici e deontologici”. Anche abilitato (art 100 del R.D. 27 luglio 1934 n 1265 / Testo Unico delle leggi sanitarie) dovrà sempre prendere in considerazione le circostanze che potrebbero configurarsi, e quali sequele giuridico – penali potrebbero scaturirne. Ovviamente, dobbiamo sottolineare che il professionista non abilitato sarà penalmente perseguibile ai sensi dell’ articolo 348 del Codice Penale che decreta e punisce il reato di esercizio abusivo. La crescente autonomia della nostra professione, ha portato ad una maggiore responsabilità e competenza, ed è proprio per tal motivo che l’art. 22 del Codice Deontologico delibera che il podologo“ è e resta responsabile dei propri atti e delle proprie prestazioni e non deve subire condizionamenti della sua autonomia ed indipendenza professionale”. Ma ogni qual volta ci si appresterà ad eseguire una visita, un controllo, un trattamento sarà buona norma informare il cittadino della procedura e dei rischi connessi, in modo da attuare il diritto all’autodeterminazione, il quale, a livello Costituzionale, è garantito dall’art. 2 nel quale si asserisce: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adeguamento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; l’art. 13 afferma che: “non è ammessa forma alcuna di detenzione,di ispezione o perquisizione personale, se non per atto motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla Legge”; infine, ma non di minor importanza è l’art. 32 che dichiara: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti […] La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Pertanto, in questi articoli vengono trattati tre aspetti fondamentali: in primis, i diritti inviolabili dell’individuo,e più importante tra tutti il diritto a perseguire un progetto di vita e realizzazione della persona, concetto ribadito anche nell’art. 11 del Codice Deontologico A.I.P; in secondo luogo, l’inviolabilità della libertà personale, poiché, di norma trattamenti ed accertamenti sanitari sono volontari (eccezion fatta per i TSO, art.33 5° comma L. 833/1978) ed infine l’importanza della tutela della salute come interesse del singolo e della collettività. Lo strumento che ci consente di mettere in atto le norme appena citate è il CONSENSO INFORMATO, in quanto rappresenta la sintesi tra l’autodeterminazione della persona e la sua salute, nonché il diritto di poter scegliere. Il consenso, concettualmente, si lega alla consapevolezza dell’individuo, perseguibile mediante l’informazione che permette un’adesione partecipe al trattamento. Pertanto, ogni qual volta si dovrà mettere in atto un qualsiasi intervento, si dovrà spiegare alla persona il modo tramite cui ci si prepone di agire, nel rispetto dell’ indipendenza e della dignità professionale (art. 3 – 4 del Codice deontologico A.I.P.). Il consenso si definisce “informato”, poiché, il professionista sanitario è tenuto a dare spiegazioni al paziente tenendo conto della sua emotività, del livello culturale, delle informazioni su diagnosi e prognosi, approccio alla patologia, effetti derivanti dalla terapia, conseguenze derivanti dalla mancata terapia, limiti delle conoscenze (art. 13 del Cod. Deo. A.I.P.) ed ogni altra informazione reputata importante. Il consenso, dovrà inoltre essere effettivo, non presunto e dovrà essere specifico, pertanto non potrà essere generico e rilasciato “in bianco” senza il tipo di trattamento/ intervento da eseguire oltreché corredato dai possibili effetti postumi. Inoltre,dovrà possedere delle caratteristiche di esaustività, chiarezza ed adeguatezza. In conclusione, il consenso è uno strumento molto importante per la nostra affermazione professionale, nonché un modo per tutelarci e svolgere l’ attività podologica in modo da garantire al paziente competenza ed affidabilità.

Eleonora Di Matteo
Studentessa II anno CdL in Podologia, Università “Sapienza”, Roma

Tratto da www.associazionepodologi.it

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